La scuola dei buoni ricordi, aperta al futuro

La testimonianza dell’“alberghettiano” Ezio Ferri

In Pedagna sembra di entrare nella storia della musica. Via Vincenzo Bellini. Via Arcangelo Corelli. Via Gaetano Donizetti. Via Pietro Mascagni. Via Nicolò Paganini. Via Ottorino Respighi. Via Gioacchino Rossini. Via Arturo Toscanini. Via Antonio Vivaldi. Non manca un tributo più pop, con via John Lennon e via Lucio Battisti. Il mio appuntamento è in via Giacomo Puccini, nel cuore dell’opera lirica ma anche di una qualità residenziale immersa nel verde alle pendici della collina.
È giovedì pomeriggio 3 ottobre, ho fissato un appuntamento e, nonostante il maltempo, cerco di mantenere la parola data. Non nascondo di avere una certa curiosità per il racconto che mi accingo ascoltare. Pretesto non inutile il fatto che il mio interlocutore, Ezio Ferri, l’11 ottobre raggiunge il traguardo dei 95 anni, siccome è nato l’11 ottobre 1929 a Casalfiumanese, e, circostanza, per me, degna di nota, è stato allievo dell’Alberghetti.
L’articolo 28 della Costituzione vien detto anche di immedesimazione organica. Che cosa significa? Che i funzionari pubblici, tanto più i dirigenti, si identificano con l’istituzione loro affidata. Così capita a me. Qualcuno ha scritto: tutto ciò che è umano ci riguarda. Più umilmente, potrei aggiungere: ciò che riguarda l’Alberghetti necessariamente mi coinvolge.
Ecco, intanto, sono arrivato. Suono, mi “danno il tiro”, come si dice dalle nostre parti, salgo velocemente le scale, saluto chi mi accoglie sulla porta, entro e sento subito, nel soggiorno, lo sguardo attento di Ezio, una cordiale stretta di mano e, senza tanti preamboli, decolla subito il nostro colloquio.

Da dove partiamo?

Direi dalla mia mamma, Domenica Degli Esposti, che purtroppo è mancata prematuramente il 27 ottobre 1942, quando avevo tredici anni. Dopo la sua morte fui accolto, insieme a mio fratello Nerio, nell’Istituto di Santa Caterina allora diretto da don Giulio Minardi.

Lei è nato a Casalfiumanese, più tardi siete approdati a Imola.

Non ricordo neppure il tempo trascorso a Casalfiumanese. A Imola sì, a casa, poi nell’Istituto di Santa Caterina, nelle scuole elementari, alle Carducci, e poi all’Alberghetti.

Com’era l’Istituto di Santa Caterina?

Camerate e vita familiare di più di un centinaio di ragazzi. Fino a non molti anni fa ho partecipato al raduno annuale degli ex allievi.

E le Carducci?

Per scrivere si usava il pennino da intingere nel calamaio posto sul banco, veniva un bidello a versarlo, il calamaio era bianco e di ceramica. Poi sono passato alle classi professionali dell’Alberghetti.

Si ricorda gli insegnanti?

Certo, in particolare la prof. Cocchi di Matematica, mi raggiungeva anche all’Istituto di Santa Caterina, mi portava i compiti e mi dava una mano, mi aveva preso a cuore ed io da lei mi sentivo compreso e apprezzato.

Oltre alla prof. Cocchi?

Ricordo la prof. Pasculli di Italiano, moglie dell’ingegner Pacifico, che insegnava Elettrotecnica ed era anche vicepreside.

Com’era allora l’Alberghetti?

C’erano tanti laboratori, ricordo in particolare quello di Falegnameria, nell’ultimo triennio quello di Elettrotecnica. Ci spiegavano come viene prodotta e come viene trasportata l’energia elettrica. All’esame del quinto anno occorreva sapere di Elettronica.

La sua pagella dell’ultimo anno è una sfilza di 8, in Italiano, Elettrotecnica e misure, Scienze Applicate, Disegno Tecnico, Esercitazioni pratiche, Educazione fisica. Risulta l’unico con questa media.

Ero interessato, stavo attento e i voti lo evidenziavano.

Quanti eravate?

Eravamo 19.

I compagni di classe? 

La famiglia di Francesco Bardasi aveva un negozio di lampadari e prodotti elettrici presso il Buon Pastore. Mi ricordo anche degli altri, almeno della gran parte: Fausto Arcangeli, Ermanno Bartolotti, Giorgio Battilani, Augusto Cassani, Otello Conti, Corrado Cricca, Vincenzo Dall’Osso (praticava pugilato, ha conquistato il titolo di “campione europeo” in un Paese dell’est Europa), Nereo Galletti, Ermanno Giustinelli, Giovanni Manara, Clario Medici, Luigi Ronchi, Antonio Tarabusi, Ennio Venturoli. Sono i compagni che hanno fatto con me l’esame di licenza.

Rimaniamo all’Alberghetti, che giudizio ne dà?

Una buona scuola.

Formava maestranze ma forniva anche una cultura più generale?

Sì, io sono sempre stato più portato per le discipline scientifiche, per la Matematica, grazie alla prof. Cocchi, per Fisica, ma anche per la Storia. L’Alberghetti forniva già allora una cultura generale. In ferrovia sono stato un po’ docente anch’io, ho fatto l’istruttore ai ragazzi che facevano il concorso per entrare, così come ho tenuto corsi per i ferrovieri neoassunti.

Forse, a quei tempi, la vita scolastica era più semplice…

Ricordo che d’inverno, durante la guerra, si usavano delle piccole stufe di terracotta a legna. Le finestre a vetri senza persiane. Era freddo e in classe tenevamo addosso i cappotti.

Gli orari?

Dalle ore 8 del mattino, poi all’Istituto di Santa Caterina per il pranzo, di nuovo all’Alberghetti dalle 14 sino alle 17 del pomeriggio. Cinque ore la mattina, tre il pomeriggio. Il sabato solo la mattina.

Il sabato pomeriggio partecipava alle adunate?

C’era il “sabato fascista” ma don Giulio non ci mandava. C’era una cerimonia la mattina, qualche volta, all’inizio delle lezioni, mi sembra che qualcuno suonasse una tromba.

Che ricordo ha di Don Giulio Minardi?

È stato il parroco della Chiesa del Carmine. Medaglia d’oro del Consiglio provinciale di Bologna, perché durante la guerra ha nascosto ebrei e partigiani, anche il futuro sindaco Amedeo Ruggi. Il 2 giugno 1962 il Capo dello Stato lo ha nominato Cavaliere ufficiale al merito della Repubblica. È stato lui a celebrare il matrimonio con mia moglie Anna Cattabriga il 25 ottobre 1959.

Dopo l’esame di licenza?

Ho avuto una borsa di studio messa a disposizione dallo studio dell’avvocato Bufferli, devoluta all’Istituto Santa Caterina. Dopo la licenza all’Alberghetti, c’è stato un anno di intervallo, ho lavorato per l’Istituto di Santa Caterina in campagna, nei poderi dell’Istituto e, nello stesso tempo, mi sono preparato per l’esame di ammissione alle Aldini Valeriani, che allora si trovavano in fondo a via Saragozza. Dopo l’Alberghetti, per ottenere il diploma di perito, occorreva andare a Forlì o a Bologna.

Quanto tempo è rimasto all’Aldini Valeriani?

Tre anni, per diventare perito industriale meccanico, sino al 1949.

Poi?

Poi di nuovo qualche lavoretto con l’Istituto di Santa Caterina nelle due officine artigianali, si chiamava Istituto degli Artigianelli di Santa Caterina. E insieme l’impegno per sostenere l’esame per entrare in ferrovia, come aiuto macchinista. Ho vinto il concorso presso le Ferrovie dello Stato nel 1953.

Quanti anni come aiuto macchinista?

4-5 anni, ho anche sbadilato il carbone quando i treni erano a vapore. Ricordo bene il deposito a Bologna. Ho lavorato presto anche sui locomotori elettrici.

Viaggi distanti?

Da Bologna a Venezia, a Firenze (con la direttissima), a Pistoia (sulla vecchia ferrovia porrettana), a Milano, ad Ancona e a Ferrara.

Andata e ritorno?

Sì, oppure, qualche volta era previsto il pernottamento. Ma io desideravo diventare macchinista interno.

Vale a dire?

Si trattava di sostenere un altro concorso. I treni prima della guerra e durante la guerra viaggiavano con un macchinista e un aiuto macchinista. Mesi di studio, l’esame, un periodo di prova. Lo feci, lo superai, quindi andai in Sicilia per due anni a fare l’aiuto macchinista, perché nell’isola mancava questo profilo professionale.

Quanti eravate allora a Bologna?

A Bologna, come macchinisti e aiuto-macchinisti, eravamo circa 500. Ma il mio desiderio era diventare capodeposito…

Quindi?

Ho dovuto sostenere un ulteriore esame interno, presso la stazione di Firenze Rifredi. Il deposito è quel luogo dove vengono depositati di locomotori, ne fanno parte il personale di guida con le officine necessarie per riparare i locomotori. Come capo deposito mi sono occupato sino alla pensione di almeno 500 persone. 

Ecco, terminato il colloquio con Ezio Ferri, ho la conferma che questo è un modo corretto anche per fare memoria di quel che è stato l’Alberghetti già circa un secolo fa. Una fucina di competenze e abilità, visioni e realizzazioni, propositi e contribuiti allo sviluppo, non solo economico, ma anche sociale e civile della comunità. Una scuola che ha saputo lasciare buoni ricordi deve continuare a lasciare buoni ricordi, se vuole essere aperta al futuro.
Concludo con due auguri. Il primo è rivolto a Ezio Ferri, che si accinge a festeggiare, con la sua famiglia e con la sua scuola, il traguardo dei 95 anni. Il secondo è che la sua “voce” raggiunga tanti nostri studenti, insieme a quelli, attualmente in terza media che, in vista del prossimo anno scolastico, vorranno iscriversi all’Alberghetti, perché tengano conto della testimonianza di Ezio Ferri: se si utilizza bene, oggi, il tempo della scuola, può trarne un vantaggio, domani, non solo il tempo del lavoro, ma anche il tempo della vita.

Colloquio a di cura di M.M.